Mixitè a Pittsburg
Antonino Saggio
In questa pagina illustriamo tre recenti realizzazioni di edifici con destinazione mista insieme ad alcuni studi progettuali per la città di Pittsburgh in Pennsylvania. I materiali sono uniti tra loro dal concetto di Mixité, una strategia di intervento che si fa sempre più strada nell'affrontare i temi nuovi della città contemporanea nel passaggio tra un modello industriale e uno basato sul terziario e sull'informazione. La città di Pittsburgh è un simbolo di questo processo ed è da qui che brevemente vogliamo cominciare.
Vista del centro città dal North Side. Pittsburgh, autunno 2001.
PITTSBURGH CITTÀ POST-INDUSTRIALE. Pittsburgh è una città interessante e particolare sin dall'orografia che descrive una favorevole confluenza di due fiumi, delimitante un'area triangolare. Già nel XVIII secolo i francesi costruiscono un forte in quello che è appunto chiamato il "triangolo". (Le informazioni che seguono derivano da The Riverfront Development Plan, City of Pittsburgh, Pittsburgh 1998 e da alcuni altri testi che sono ricordati alla fine del testo)
Douglas Cooper, Vista dello Strip district, Pittsburgh, 1995.
La cittadina che circonda il forte viene a rappresentare, nel corso della prima parte dell'Ottocento, l'ultimo centro civilizzato prima del gran salto verso la conquista dei nuovi territori occidentali. La situazione geografica e la presenza dei corsi d'acqua favoriscono i commerci e preparano il boom dell'industrializzazione che avviene negli ultimi decenni dell'Ottocento: da avamposto militare e sede di traffici la città si trasforma nella Iron City, nel simbolo stesso, cioè, dell'industrializzazione pesante americana. Città dell'acciaio e città legata al grande industriale e magnate Andrew Carnegie e poi ai suoi discendenti, Pittsburgh vive a partire dal secondo dopoguerra del Novecento la trasformazione del suo modello di città "fabbrica". Già alla fine degli anni Quaranta, quando arrivare al centro equivaleva ad essere immersi in una fucina a cielo aperto, la zona del downtown cominciò a essere risanata attraverso l'allontanamento delle industrie e la nascita di un quartiere di torri immerse nel verde (il molto pubblicizzato "Golden Triangle"). Ma le trasformazioni ancora più grandi cominciano negli anni Settanta quando entra in crisi in tutto il mondo occidentale la produzione pesante.
La crisi, naturalmente, a Pittsburgh è fortissima: si tratta della perdita di decine di migliaia di posti di lavoro, della chiusura di centinaia di fabbriche e della notevole diminuzione della popolazione. Speciali uffici del Comune e speciali task force sono messe in campo per contrastare il declino ed il successo di queste politiche di reindirizzamento della città verso un modello terziario avanzato è finalmente evidente alla metà degli anni Ottanta. La città vince (attraverso un sondaggio ufficiale e attraverso la valutazione comparata di molti parametri) il titolo "città più vivibile di America" costringendo l'intero paese a toglierle l'etichetta di città fumosa, pesante, inquinata e laboriosamente provinciale.
The Riverfront Development Plan (aree di intervento lungo i fiumi), City of Pittsburgh, Pittsburgh, 1998.
La trasformazione da città industriale a città prevalentemente dell'informazione è potuta avvenire a Pittsburgh facendo leva sulle sette Università della città, sulla presenza di grandi enti di ricerca, sull'investimento in ricerche elettroniche avanzatissime (soprattutto nel contesto del famoso scudo spaziale reaganiano) e sullo sforzo complessivo verso il disinquinamento, la qualità dei servizi e delle attività culturali. In questo quadro s'inseriscono negli anni Novanta molti nuovi progetti soprattutto nelle brown areas e cioè nelle grandi porzioni di città, spesso qui a Pittsburgh lungo i fiumi, abbandonate dall'industria. Ma accanto ai grandi progetti urbani comincia ad affermarsi anche una microprogettualità volta alla trasformazione di singoli edifici industriali in nuovi organismi e in nuovi modelli di vita.
Presentiamo a questo riguardo in particolare tre progetti recenti: La Glass Factory che lo studio Davis&Gannon ha realizzato con Bruce Lindsey, il Dance Alloy di Edge-Studio che le sorge accanto e, infine, l'intervento Ellsworth Center di Arthur Lubetz Ass., uno studio che è attivo da molti anni in città.
Ma prima di entrare un poco di più nel merito dei progetti bisogna soffermarsi sul concetto di Mix Funzionale entro cui gli interventi muovono.
IL CONCETTO DI MIXITÉ. La città nata dalla rivoluzione industriale era basata sulla divisione per aree omogenee: ciascuna zona, come ben sappiamo, era regolata, organizzata e ottimizzata attraverso specifici standard, densità e tipi edilizi e veniva messa "in catena" con altre zone funzionalmente distinte in maniera da ottimizzare la produttività generale. A un concetto di spazio ne era naturalmente associato uno di tempo. In queste ore e in questi luoghi si lavorava, in questi e a queste ore ci si svagava, qui si dormiva e ci si riposava. Lo zoning era il principio cardine attraverso sia lo spazio che il tempo venivano concepiti, organizzati, progettati.
The Design Alliance e Rusli Associates, Alcoa
HeadQuarters. Pittsburgh, 1998.
Ora, è abbastanza interessante notare come la città dell'informazione -e tale è sicuramente Pittsburgh- in cui per frammenti stiamo cominciando a vivere presenta un ribaltamento di questo approccio perché al concetto di catena sostituisce quello di rete. Naturalmente continuano a esistere meccanismi unidirezionati per alcuni sistemi produttivi, ma esistono allo stesso tempo legami traversi di piccoli entità che sono connesse appunto come le maglie di una rete.
Vista notturna delle attività sul lungo fiume. Pittsburgh, autunno 2001.
In questo contesto l'idea di zoning e di omogeneità funzionale perde di centralità. Si tende a operare "per progetti" funzionalmente integrati che presentino varie attività simultaneamente, piuttosto che per grandi, spesso irrealizzabili, disegni. La logica di progettazione diventa sempre più attenta alle interconnessioni tra spazi e funzioni piuttosto che al miglioramento esclusivo di ciascuno anche per far emergere modi di vita basati sulla simultaneità invece che sulla sequenzialità, sul misto di funzioni, di interessi, di commistioni, piuttosto che sulla monofunzionalità. Insomma, alla città divisa per zone e coerentemente concepita con le tecniche della separazione in fasi si contrappone una città dell'informazione basata "esattamente" sui processi opposti; perché le reti diffondono, personalizzano, frammistano e invocano processi complessi, stratificati e ibridi di vita e di progettazione. E questo appunto avviene tanto alla macroscala della città che alla microscala di piccole architetture.
LO STUDIO LIQUID STRIPS. Su questi criteri è stato impostato lo studio "Liquid Strips" tenuto alla Carnegie-Mellon University da chi scrive e che proponeva una serie di progetti di Mixité su delle aree industriali dismesse lungo il fiume Allegheny. I progetti naturalmente obbedivano a una precisa strategia di piano proposta dalla task force municipale.
Si trattava innanzitutto di proporre una strategia fatta per "progetti" ciascuno dei quali presentasse al suo interno una combinazione pubblico-privato. Dal punto di vista funzionale ciascun progetto doveva presentare cinque componenti: Living, Creating, Inrastracture, Exchange e Rebuilding Nature.
Appunti da una Lezione del Corso "Liquid Strips",
Antonino Saggio, Carnegie-Mellon University 2001
(D. Parker) in cui è sintetizzato il concetto di Mixité
attorno alle cinque macro aree Living, Infrastracturing,
Creating, Exchanging and Rebuilding Nature. I grafici
indicano le diverse percentuali di ciascuna attività a
seconda della forza trainante il progetto.
La definizione apparentemente vaga delle macro categorie funzionali era invece strumentale a pensare in maniera più mirata un progetto di Mixité e in particolare a centrare il concetto di driven force. Con driven force si intendeva la funzione prevalente del progetto. Se, per fare un esempio, in un caso si riteneva che una determinata area e una determinata posizione favorisse il tema prevalente del parcheggio, questo tema diventava semplicemente la "forza trainante" del progetto; il programma dell'intervento nel suo insieme doveva "comunque" contenere in una certa percentuale anche le altre quattro componenti.
Esposizione e Modello, "Liquid Strip" Studio IV.
Carnegie-Mellon University, Pittsburgh, autunno 2001.
Vi doveva essere una quota parte di Rebuilding Nature (cioè di attrezzature per il tempo libero e destinate a verde), di Exchange, cioè di commercio, di attività lavorative, cioè creating e anche di Living. Il problema era studiare come, in quali combinazioni, attorno a quale "storia" complessiva. Naturalmente questo modo di pensare non era lontano da quello reale che si poteva riscontrare nei tre interventi di cui ora parliamo.
TRE ARCHITETTURE DI RIVITALIZZAZIONE E MIXITÉ. Il progetto Glass Factory ha come motore della propria complessità d'uso quello della fabbricazione artigianale del vetro. Attorno a questa funzione prevalente ruotano aule didattiche, laboratori, vere e proprie zone con forni e naturalmente aree di commercializzazione e di esposizione. Combinate a queste vi è anche un certo numero di appartamenti per persone che o fanno parte delle attività del centro o che semplicemente desiderano vivere in un contesto dinamico e anticonvenzionale.
Davis&Gannon con Bruce Lindsey, Glass Factory. Pittsburgh, 2001.
Davis&Gannon con Bruce Lindsey, Glass Factory, vista
dei percorsi interni. Pittsburgh, 2001.
La funzione trainante diventa in questo caso il principio organizzativo, funzionale e formale insieme. Per esempio esso suggerisce l'adozione di grandi porte di garage a pannelli di vetro per il trattamento dell'esterno, oppure consente di affiancare al laboratorio alcune aule didattiche o luoghi di vendita o suggerisce per la residenza forme ibride di lavoro e vita anche all'interno delle case. Inoltre gli spazi di smistamento e di distribuzione sono qui esaltati sia dal punto di vista sociale che da quello del disegno del dettaglio, non a caso molto curato pur nella sua apparente brutalità.
Davis&Gannon con Bruce Lindsey, Glass Factory, vista
e dettaglio della scala. Pittsburgh, 2001.
Accanto alla Glass Factory sorge il Dance Alloy in cui la funzione prevalente è quella della sala prove per l'esercizio della danza. Anche in questo caso un mix di funzioni è pensato attorno alla funzione prevalente, che però non trova come nel caso precedente la possibilità di rivelarsi con forza nella spazialità interna.
Edge-Studio, Dance Alloy, vista sulla strada principale.
Pittsburgh, 2001.
Il terzo progetto –Ellsworth Center- si trova non lontano dai primi due ma in un quartiere diverso, ormai da molti anni quasi completamente recuperato.
Arthur Lubetz Ass., Ellsworth Center, vista della
testata. Pittsburgh, 2001.
Arthur Lubetz Ass., Ellsworth Center, dettaglio.
Pittsburgh, 2001.
L'intervento è meno sperimentale del precedenti, più ampio per dimensioni ed è interessante soprattutto come testimonianza di come i temi della mixité (in questo caso due piani commerciali su strada e un misto di uffici e residenze negli altri, cui si accede anche da una terrazza retrostante che diventa parcheggio) stanno cominciando a permeare molti interventi anche di solidi e affermati professionisti americani. Nell'insieme questi tre progetti mi sembrano veramente dei piccoli cuori pulsanti di una città diversa, più ricca e complessa che può aprire occasioni di immaginare d'architettura.
Non so cosa ne pensa Arch'it.. comunque si suppone che a Lei sia piaciuto parecchio
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